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Il presidente Raffa in un convegno a Villa San Giovanni: "Riflettere sulla nostra epoca è un obbligo cui nessuno può sottrarsi".

L’associazione internazionale onlus “ Cooperazione, integrazione, sviluppo, cultura e dialogo” di Villa San Giovanni, grazie all’invito della sua presidente dottoressa Angelina Attinà, mi ha fornito un’importante occasione per ravviare una riflessione sull’epoca che stiamo vivendo e che ha trasformato il modo di vivere degli abitanti del nostro pianeta. Il futuro dell’uomo, soprattutto la sua condizione sociale, non possono essere temi da rinviare: fanno affrontati subito. Riflettere sulla nostra epoca, infatti, è un obbligo cui nessuno può sottrarsi. Tantomeno la classe dirigente che ha il dovere di creare le condizioni affinché l’uomo diventi cittadino vero della postmodernità. La globalizzazione, figlia della società dell’informazione e della comunicazione, ha radicalmente cambiato la vita degli abitanti del nostro pianeta. L’attuale società liquido – moderna, infatti, ha creato nuovi modelli sociali, culturali ed economici rispetto ad un passato in cui la solidità dei rapporti rappresentava l’architettura del mondo, soprattutto dell’Occidente. Tutto è in continua trasformazione e l’uomo, che lo voglia o no, che gli piaccia o meno, anche quando si sforza di rimanere fermo, viene trascinato verso nuove dimensioni i cui effetti non sono facili da affrontare.

Le politiche liberiste degli ultimi decenni  hanno prodotto forme di sgretolamento sociale dovute, in prevalenza, all’esaltazione delle libertà dell’individuo  a danno  della dimensione collettiva.   Libertà di siffatta portata, però, provocano disinteresse verso il bene comune  e rendono tutti noi sudditi del consumismo imposto dal mercato.  Il modello occidentale che prima si basava sulla produzione, oggi è finalizzato sul consumo. Aumenta così l’individualismo, l’impotenza collettiva e la paralisi della politica. Con quest’ultima, come dimostrano gli effetti  della crisi   economica  mondiale iniziata nel 2008 e non ancor finita, subalterna al capitalismo finanziario. Il vecchio sistema capitalistico – industriale  ha ceduto il posto ai banchieri che hanno fatto credere che l’aumento della ricchezza di pochi  avvantaggiasse tutti.  Un sistema  che ha fatto aumentare le diseguaglianze in nome della competizione. E sta provocando l’erosione di quello stato sociale che la classe lavoratrice si era guadagnata in quasi un secolo di lotte.  Tutti siamo diventati precari, vittime della delocalizzazione  in cui  intere categorie di lavoratori diventano scarti  destinati  alle cosiddette discariche sociali. E’ quasi del tutto scomparsa la classe media mentre è sempre più  sottile il confine  tra indigenza e povertà. In atto, sgomenti, assistiamo  ad una crisi sociale, economia e politica che mette in forse la stessa pacifica convivenza all’interno delle comunità e tra i popoli.

Un quadro, questo,  che provoca    un generalizzato  rischio sociale:  cittadini d’intere aere geografiche del pianeta, in particolare  quelli in cui gli standard di vita e la democrazia sono fragili o inesistenti,  sognano l’occidentalizzazione.  E pur raggiungere l’Europa, usando l’Italia come testa di ponte,  si affidano  a quanti  gestiscono l’immigrazione clandestina. Ma il Vecchio Continente,  alle prese con la crisi globale, quasi sempre, per loro  è qualcosa di diverso rispetto alla “terra promessa”  che speravano di raggiungere   quando hanno deciso di tagliare le radici con la terra natia.   Nel tessuto  sociale sfilacciato, la gente si affida a varie forme di protesta nel tentativo di esorcizzare gli effetti  devastanti della postmodernità e i demoni  del nuovo banditismo globale  che  gestiscono i privilegi del capitalismo finanziario.

La nostra vita , ogni giorno che passa, diventa sempre più veloce impedendoci  di riflettere sulle nostre azioni e di rafforzare i nostri legami, anche all’interno della famiglia nucleare,  sempre più sfilacciati, quasi cancellati. Poche le radici  che ancora tengono uniti i  cittadini della società postindustriale  che, complice le nuove tecnologie  di comunicazione,   produce solo  rapporti virtuali. Gran parte della nostra vita la trascorriamo online intensificando i nostri rapporti, di qualsiasi natura, con persone che abitano in mondi lontani.  Ad esempio facebook  ci consente di ottenere e concedere amicizia  a centinaia ( a volte migliaia) di persone  che in qualsiasi momento possiamo cancellare  pigiando il tasto “delete” del nostro computer. Una  volta spento il pc  ed entrati  nella condizione  offline  i nostri rapporti, familiari soprattutto, ma anche nell’ambito sociale e nell’ambiente di lavoro,   diventano talmente freddi  da  provocare  uno stato di solitudine.   Processi  che,  non riuscendo a governare,  ci  traghettano  sulla sponda dell’individualismo che ci rende estranei alla comunità  e refrattari ad importanti valori come la solidarietà.  Prende il sopravvento la paura che rende l’uomo aggressivo, intollerante, antagonista, violento con i suoi simili, come  evidenziano i fatti di cronaca nera di cui sono ricche le pagine dei quotidiani, i tg e i giornali online.

Il mondo è alle prese con un disordine demografico, ambientale, ecologico.  Dai sei miliardi di oggi, nel 2050 gli abitanti del pianeta saranno  più di dieci miliardi. E le previsioni sono davvero catastrofiche  in quanto, dicono gli esperti,  verranno meno  le possibilità di sussistenza, aumenteranno le carestie e l’Occidente  sarà caratterizzato  dai grandi flussi migratori provenienti da altre regioni del globo.

Il pianeta, secondo alcune “profezie”, va incontro ad una vera e propria apocalisse, perché, in modo irrazionale, si continuano a sfruttare  tutte le sue risorse.  Questi modelli di vita non possiamo più permetterceli.  E lo sfruttamento delle risorse, la  violenza che l’uomo  provoca al territorio,  in nome della modernità e del benessere,   sono una minaccia ecologica senza frontiere. “L’uomo – scriveva Jean Maria  Pelt -  distrugge uno a uno  i sistemi di difesa  dell’organismo planetario”.  Nonostante le varie conferenze mondiali sul clima ( è bene ricordare quella di Stoccolma del 1972 , Rio, Kyoto) abbiano evidenziato la necessità della salvaguardia ecologica e l’esigenza di sviluppo  economico dei paesi poveri, riteniamo di non  curare il nostro pianeta con le moratorie.   Negli ultimi decenni  si è rafforzata l’idea di “sviluppo sostenibile” attraverso  un serrato confronto tra  lo   stesso sviluppo,  che producendo ricchezza provoca la crescita degli agenti inquinanti,  e l’idea di ambiente.

Occorre una presa di coscienza che – come scrive Edgar Morin nel suo libro  “Terra –Patria” -  ci consenta “di uscire  dall’età della barbarie, facendoci comprendere che siamo solidali in  questo pianeta  e con questo pianeta”.

Dr  Giuseppe Raffa

Presidente Provincia Reggio Calabria

 

 

 

 

 

  

 

 

 

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